Racconta Tommaso
Bellorosio che, i Licatesi si accorsero che in un luogo presso la
chiesetta dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo, indicato come il
luogo del martirio del Santo carmelitano, scaturiva dell'olio di
celeste fragranza che guariva persino quanti ne facevano uso.
Qualche tempo dopo, cessato questo prodigio, una donna vi avrebbe trovato un candido giglio che, raccolto, rispuntò il giorno dopo e
nuovamente reciso nacque ancora per la terza volta. Il quarto giorno
i fedeli, incuriositi da questo evento miracoloso, scavarono in quel
posto e rinvennero le ossa di un frate che attribuirono subito a Sant'Angelo.
Rimosse le reliquie,
scaturì subito nel luogo della sepoltura, come attesta Battista Mantovano, una fonte, la cui acqua, nitida e dall'odore soave, il
giorno della festa del Santo Patrono arrivava sino all'orlo del
pozzo, ed operava prodigi. Quest'acqua, come riferisce il Pitrè, per
i suoi effetti miracolosi veniva spedita "in orciuoli ed anfore
sigillate col sigillo del magistrato di Licata alle città e alle
province vicine".
Nella seconda metà del
500, il carmelitano Diego de Coria Maldonado riferisce, che il fonte
è secco tutto l'anno e che solo ai primi vespri ai secondi del
giorno della festa dava tanta acqua da riempirsi.
Nel 1625-27 nel corso
del processo per i miracoli del Santo parecchi testimoni asserirono
di aver ricevuto o di esser al corrente di grazie ricevute per
l'acqua che gorgogliava in questo pozzo. Diverse sono le versioni
poi sul sapore di quest'acqua: salmastra, più per essere vicina al
mare, o amara addirittura. Diventava però dolce, tanto da potersi
bere, il giorno della festa del Santo nel momento dell'elevazione
dell'ostia, come attesta anche il can. Vincenzo di Palma.
P. Ludovico Saggi,
studioso carmelitano, che si trovò a Licata il 17 giugno del 1961,
assaggiò l'acqua del pozzo che trovò dolce, nel senso che non era
amara, né salmastra.
Il pozzo si trova tra la
seconda e la terza colonna della navata destra della chiesa e si
volle nel 1673 munirlo anche di un elegante balaustra ottagonale
(cm. 90 di alt. e cm. 84 di lunghezza per lato) eseguita in pietra
grigia di Trapani dal maestro Giovanni Romano. Sul puteale furono
collocate otto mensole a cartoccio in ferro battuto (poi rimosse),
eseguite dal fabbro licatese Pietro Agguagliato. Sulla sommità del
puteale stava una delicata statuina (cm. 52 di lunghezza), in marmo
bianco venato, riproducente Sant'Angelo sul letto di morte. Questa
preziosa scultura negli anni ottanta per questioni di sicurezza è
stata sostituita con una copia in gesso eseguita dal maestro d'arte
Antonio Mazzerbo.
* C. Carità: La chiesa di Sant'Angelo e la
festa di maggio a Licata
L'arte a
Sant'Angelo
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