Il Capitolo
Provinciale dei PP. Carmelitani della Sicilia, tenutosi a
Licata nel convento dell'Annunziata l'8 maggio 1457 stabilì
di celebrare il 5 maggio di ogni anno la festa di
Sant'Angelo. Sin dai primi tempi la festa venne celebrata in
concomitanza con la "Fiera di Maggio", che nulla ha a che
fare con l'attuale mercato di maggio, che cadeva tra il 25
aprile e il 4 maggio.
La mattina del 4
maggio, giorno di chiusura della "Fiera", verso le ore dieci
veniva officiata in chiesa Madre la funzione liturgica che
dava inizio alla massima festività di primavera dei Licatesi.
E mentre in chiesa si cantava l'oratorio sacro, per le
strade si sentiva un suono festoso di trombe e un assordante
rullo di tamburi, accompagnato da scoppi di mortaretti. Nel
pomeriggio venivano portati per le strade e per i borghi i
palli damascati e variopinti delle confraternite della
chiesa del San Salvatore e della chiesa di Sant'Andrea,
legati ad aste alte sino a 6 metri: rosso vermiglio i primi,
azzurri gli altri. Abili sbandieratori intrattenevano nugoli
di curiosi, molti anche forestieri, e sciami di ragazzi.
I marinai, per
rendere omaggio a Sant'Angelo, dal quartiere della Marina
traevano a braccia lungo tutto il Cassaro Nuovo, l'attuale
corso Vittorio Emanuele, una vecchia barca, legata a grossi
canapi per depositarla fuori dalla "Porta Grande", nel piano
della SS. Trinità, attuale piazza Progresso. Sul far
dell'Ave Maria, il popolo affluiva nella chiesa patronale
per assistere alla funzione del Vespro alla quale
intervenivano in pompa magna le varie confraternite, tutti
gli ordini religiosi e il Senato della città che prendeva
posto alla sinistra dell'altare maggiore. I senatori per
l'occasione indossavano eleganti abiti di fine velluto
broccato.
Dopo le prime
orazioni e i primi canti, i PP. Francescani, disposti su due
file, presa dalla cappella l'urna argentea di Sant'Angelo,
dopo averla portata lentamente in processione lungo le
navate della chiesa, la collocavano sull'altare maggiore.
Terminato il
Vespro, la folla dei fedeli raggiungeva il piano della SS.
Trinità, luogo dei festeggiamenti e qui tra le grida festose
e gli evviva, i marinai, secondo un'antica usanza pagana che
ancora si conservava nella religiosa e timorata Licata sino
alla metà del sec. XIX, bruciavano la grande barca, che vi
avevano portato già quella mattina. Così cercavano di
propiziarsi Sant'Angelo perché vegliasse su di loro nella
navigazione. Al sacrificio del barcone seguivano per tutta
la notte, attorno ad un grande bivacco, musiche e balli che
impegnavano il fior fiore della gioventù licatese.
La festa riprendeva il giorno dopo, il 5 maggio,
anniversario del martirio di Sant'Angelo.
Nella chiesa del
Santo Patrono, in virtù del breve di Clemente VIII del 4
maggio 1599, l'arciprete della chiesa Madre, presenti le
maggiori autorità cittadine, celebrava la messa solenne e
ciò mentre in tutte le altre chiese di Licata venivano
celebrate messe di ringraziamento. Terminata la sacra
funzione, seguiva la recita del dramma sacro sul martirio di
Sant'Angelo, composto e musicato da un poeta e da un
musicista licatese. Quindi aveva inizio una breve
processione della santa arca per le principali vie della
città murata. Molto solenne ed atteso era il momento della
benedizione delle acque del mare. L'urna veniva portata da
alcuni religiosi sulla scogliera di levante, tra il bastione
di Mangiacasale e la Porta della Marina, tratto oggi
compreso da via Mangiacasale e piazza della Vittoria. Qui
veniva presa in consegna dai marinai che su una grande barca
pavesata a festa la portavano in processione per il mare,
seguiti da una fitta schiera di barche stipate di fedeli. Ad
un certo punto si formava un grande cerchio che aveva come
suo fulcro la barca che ospitava Sant'Angelo. Si intonavano
preghiere e canti propiziatori perché il Santo Martire
rendesse sempre più pescose le acque del mare licatese. La
benedizione liturgica concludeva questa significativa
cerimonia lustrale. Il pomeriggio era occupato da numerose
gare ginniche. Si disputavano corse ippiche, lotte, corse
coi sacchi e la regata in mare, meglio conosciuta come
"pallio a mare". Quest'ultima esisteva già nella seconda
metà del 500.
Nel 1625, per ringraziare il Santo Martire per lo
scarsissimo contagio pestilenziale che colpì Licata, Mons.
Corrado Bonincontro, Vescovo di Agrigento, con decreto del
14 agosto concesse ai giurati di traslare la festa del 5
maggio al 16 agosto, stabilendo però che si mantenesse anche
quella di maggio, limitatamente alla esposizione dell'urna
nella cappella di Sant'Angelo dal 5 aprile al 4 maggio, e
poi sull'altare maggiore dal 4 al 5 maggio. I festeggiamenti
solenni di mezz'agosto duravano otto giorni ed erano
completamente a carico della Confraternita di Sant'Angelo
che ricavava i fondi dalla "Fiera di Agosto". Il 15 agosto il
reliquario veniva portato fuori dalla cappella e collocato
sull'altare maggiore per il Vespro; la mattina del giorno seguente
l'arca veniva trasferita in processione in Chiesa Madre dove
l'arciprete celebrava la Messa solenne. Il pomeriggio era
occupato da gare ginniche, giochi e regate. La sera
riprendeva dal Duomo la processione. L'arca del Santo veniva
portata nel "piano del Ponte", e dopo una breve sosta nel
cortile del Regio Castello San Giacomo, giungeva in via
Bombordella, nel cuore della Marina, e sostava davanti alla
casa dove il 13 giugno 1625 era scoppiata la pestilenza,
fortunatamente svanita due mesi dopo, il 28 agosto. Infine,
attraverso la piazza Bombardella e la via Badia e dopo una
breve sosta davanti al monastero di clausura delle monache
benedettine del Soccorso, l'arca ritornava nella propria
dimora. Le reliquie, quindi venivano deposte con grande
solennità sull'altare maggiore, ove restavano per otto
giorni, finché, il giorno dell'ottava (23 agosto), venivano
riposte nella cappella del Santo, la cui grata veniva chiusa
dalle tre chiavi che conservavano rispettivamente il sindaco
patrizio, il priore del convento di Sant'Angelo e
l'arciprete della Chiesa Madre.
A partire dal 1653 si vietò, da parte dei giurati
l'arresto durante i festeggiamenti di Sant'Angelo di
cittadini colpevoli di reati civili.
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Calogero Carità: "La Vedetta" ed. maggio 2006
Le foto e
i video della festa di Sant'Angelo
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